Gioco di squadra ed efficienza organizzativa

di Antonio Beatrice

In ogni organizzazione ciascun componente lavora in due direzioni: produrre valore sistemico e produrre valore per se stesso. Questo aspetto diviene chiave (non a caso è di grande attualità il tema della “coopetizione”) per comprendere una delle principali aree di intervento di natura culturale e organizzativa.

Nelle organizzazioni in cui queste due direttrici divergono (ambienti dove si premia il risultato nel breve, dove si punta solo sulla competizione, esterna e interna, in cui gli errori e i successi non sono occasioni per migliorarsi bensì opportunità per penalizzare o mistificare, …..) diviene veramente complesso favorire il gioco di squadra.

Anche quando di fatto esiste un trusting o una cordata vi è sempre anche un nemico da sconfiggere (o dal quale difendersi) e poi un “bottino” da spartire con guerre intestine. Questa dinamica alimenta anche una tematica più complessa che riguarda l’equità percepita e la conseguente perdita di credibilità dell’organizzazione che impatta sulle leve motivazionali più profonde e favorisce ancor più la tendenza a “giocare solo per se stessi”.

Un ragionamento molto semplice da fare è che invece in un mercato ipercompetitivo difficilmente ci potranno essere dei benefici per i singoli se non si è prodotto prima del valore per l’intera organizzazione. Osserviamo infatti che l’attenzione ad aggiudicarsi una fetta più grande della torta piuttosto che a contribuire per ingrandirla è più “spiccata”, ad esempio, nelle aziende che provengono da un oligopolio (si pensi ai colossi delle telecomunicazioni, alle grandi banche, alle compagnie di assicurazioni, alle aziende pubbliche, …). Il primo passo da fare per sbrogliare la matassa è esplicitare tali dinamiche serenamente, in assoluta normalità, ed evidenziare il fatto che ciascun componente dell’organizzazione può ottenere vantaggi personali solo attraverso la produzione di valore per l’organizzazione (oggi è così quasi per tutti) e questo rende implicito il dover cooperare e fare sistema. Ovviamente un approccio di questo tipo va sostenuto con degli strumenti e delle attività che, nel tempo, restino sempre coerenti. Per fare un esempio concreto si può inserire la capacità di cooperare (o gli si può attribuire maggior peso) negli assessment individuali periodici, come elemento valutativo e quindi anche come area di intervento e/o di miglioramento personale per una sana crescita.

Ovviamente lo spirito dell’assessment deve essere quello di “aiutare a comprendere” e raccordare le aspettative che l’organizzazione ha rispetto a un suo componente e la percezione che questi ha di se e dell’organizzazione. E’ chiaro che non basta un singolo intervento a cambiare una cultura, occorre agire sul piano della comunicazione, della gestione degli incentivi (premiare il come e non solo il cosa, premiare il miglioramento personale e non solo il risultato assoluto, censurare comportamenti di tesorizzazione della conoscenza o utilizzo strumentale delle quote di potere, premiare non solo con il denaro o la carriera ma anche con l’ascolto, con il riconoscimento delle competenze, della capacità di sviluppare e condividere metodologie, …… senza per questo avere paura di trovarsi la fila di quelli che vengono a chiedere l’aumento di stipendio… tutto è gestibile se il commitment è curato e trasparente).

Quando l’organizzazione è riuscita ad avvicinare concretamente le due direttrici (produrre valore per l’organizzazione e produrre vantaggi per se stessi) e vi è una buona convergenza, il dialogo è trasparente e costruttivo si sono costituiti i pre-requisiti per far funzionare i team.

Occorre però ancora un altro sforzo organizzativo. Un team è fatto di persone e le persone vi portano all’interno tutto il patrimonio di competenze, di forza propulsiva, di determinazione, etc.. e allo stesso tempo il proprio sistema di valori, i propri limiti caratteriali, le proprie debolezze e anche molte molte convinzioni. Faccio un esempio. In molte aziende dell’IT esistono figure con competenze tecniche e figure commerciali. Di solito non si tratta di aziende che provengono da un oligopolio bensì di aziende che devono competere, quindi possiamo dire che tutti riescono facilmente a capire che il buon funzionamento della squadra è funzionale al benessere del’organizzazione e dei singoli. Eppure succede che i tecnici si facciano un’idea degli account non proprio positiva (con tutti i toni di grigio del caso: “..sono dei furbacchioni che vanno a fare promesse in giro e poi tocca a noi togliere le castagne dal fuoco”) mentre al contrario gli account pensano “quelli li fanno solo storie perché non si rendono conto che la fuori c’è una guerra ed è grazie a noi che portiamo acqua al mulino che possono permettersi il lusso di fare il loro lavoro tranquillamente. Il cliente è la prima cosa”.

Di fondo occorre lavorare sui processi e integrarli ma anche qui è necessario che la conoscenza delle complessità da affrontare sia condivisa (e quindi bisogna creare le giuste occasioni di condivisione, con le modalità più appropriate) e inoltre bisogna favorire il dialogo e lo sviluppo di una comunicazione assertiva, fondata sulla libertà espressiva, sulla franchezza sostenibile e sui principi della reciprocità e della simmetria. Aiuta anche fare empowerment e rafforzare la fiducia e l’equilibrio personali.

In effetti quel che spesso limita lo sviluppo di un team non è la fiducia negli altri ma la fiducia in se stessi. Quando le persone sono un po’ più fragili sul piano emotivo accade di frequente che vi sia il cd. “dirottamento dell’amygdala”. Chi si sente attaccato reagisce in maniera aggressiva o passiva, anche quando in realtà l’attacco non c’è. Un buon percorso di empowerment contempla anche altri aspetti, come la capacità di instaurare relazioni professionali, profonde e produttive. In sintesi si tratta di un preciso percorso che richiede un elevato livello di attenzione e anche delle competenze specifiche sulle soft skills che solitamente in Italia vengono poste in secondo piano rispetto alle hard skills, …. fino a che poi non ci si rende conto che gradualmente si perde molto in efficienza e competitività.

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