Motivare e Motivarsi
di Antonio Beatrice
La centralità della motivazione nel comportamento organizzativo è universalmente riconosciuta. Sul tema, sempre attuale, converge uno dei dibattiti più delicati della gestione di impresa. Nella motivazione risiedono le ragioni delle scelte e delle azioni compiute dagli individui; possiamo, infatti, definirla “l’insieme delle energie che attivano, dirigono e sostengono il comportamento di ciascun individuo”.
Le variabili utili a valutare la quantità e la qualità della motivazione sono la sua intensità e la suapersistenza, vale a dire l’entità dell’impegno che la persona è disposta a profondere e la sua durevolezza nel tempo. Gli obiettivi verso cui la motivazione si esprime ci aiutano, invece, a riconoscere la suadirezione. Tra le teorie motivazionali quella delle “Gerarchie dei Bisogni” di Maslow, è ancora oggi considerata alla base delle analisi contenutistiche.
Per Maslow esiste una precisa gerarchia dei bisogni. In pratica solo con la soddisfazione di un bisogno di livello inferiore (bisogni primari – fisiologici, sicurezza) l’individuo percepisce il bisogno di livello superiore (bisogni secondari – affetto, stima, autorealizzazione). I bisogni fisiologici (cibo, riparo, salute, riproduzione) e i bisogni di sicurezza (protezione, appartenenza, dipendenza, stabilità) sono definitiprimari perché maggiormente legati a necessità di tipo biologico e sono pertanto comuni ad ogni individuo, mentre i bisogni secondari presentano una maggiore variabilità interpersonale. Per bisogni di affettoMaslow intende quelli connessi all’universo relazionale dell’individuo (amore, amicizia, condivisione, approvazione, ascolto). I bisogni di stima possono dividersi in due precise tipologie: l’autostima (forza, adeguatezza, padronanza, successo) e la stima degli altri (riconoscimento dello status sociale, dominio, importanza, potere). I bisogni di autorealizzazione si collocano al vertice della piramide di Maslow e sono la capacità di valorizzare il proprio talento e le proprie inclinazioni, l’accettazione di sé, la spontaneità, la capacità di vivere esperienze profonde e rapporti umani positivi, la creatività e la trascendenza. Ilbisogno di conoscenza è trasversale a tutti è cinque i livelli di bisogno ed è parte integrante della personalità dell’individuo. Uno sviluppo interessante degli studi di Maslow è la teoria di Alderfer, il modello ERG (Existence, Relatedness, Growth). Alderfer individua tre principali categorie di bisogni:
- bisogni di Esistenza (bisogni fisiologici e di sicurezza);
- bisogni di Relazione (bisogni di affetto e di riconoscimento sociale);
- bisogni di Crescita (bisogni di autostima e di autorealizzazione).
Questo modello, sviluppato nel 1972, supera la rigidità delle gerarchie dei bisogni di Maslow e risulta anche più coerente con quanto osservato in ambito di organizzazioni aziendali. Alderfer codifica le relazioni tra i bisogni in questo modo:
- meno i bisogni di esistenza saranno soddisfatti, più saranno desiderati;
- più i bisogni di esistenza saranno soddisfatti, più i bisogni di relazione saranno desiderati;
- meno i bisogni di relazione saranno soddisfatti, più saranno desiderati;
- più i bisogni di relazione saranno soddisfatti, più i bisogni di crescita saranno desiderati;
- più i bisogni di crescita saranno soddisfatti, più saranno desiderati.
Possiamo quindi concludere che i bisogni elevati (autostima e autorealizzazione) producono una motivazione persistente e incrementale, mentre i bisogni di esistenza e di relazione producono motivazioni meno persistenti ma intense e ciclicamente ricorrenti. VINCENTI E VINCITORI Un atleta formidabile come Pino Maddaloni, vincitore anche di due campionati europei e di una medaglia d’oro olimpica, durante una conversazione mi disse: “Molti giovani vengono in palestra da me perchè vogliono vincere dei titoli, essere dei vincitori. In realtà io posso insegnargli qualcosa di diverso; in questo sport la medaglia d’oro può vincerla un unico atleta ed è quindi inevitabile che tutti gli altri non possano essere anche loro dei vincitori. Io posso però insegnargli qualcosa di molto più importante, posso insegnargli ad essere dei vincenti. Posso insegnargli il valore dello sport, della competizione, dell’impegno, della capacità di apprendere e migliorare. Io stesso non sono un atleta dotato di forza esplosiva o di una capacità di apprendimento superiore agli altri. Ci sono in giro atleti molto più dotati di me, solo che se loro dopo che hanno ripetuto un esercizio 100 volte si fermano perchè sono stanchi, io non mi fermo e ripeto l’esercizio 1000 volte fino a che non sono completamente soddisfatto del risultato di apprendimento. Posso insegnargli che una sconfitta è una opportunità per chiedere a se stessi di migliorare e che l’unico sistema per ricostruire è accettare la sconfitta. Nel mio sport questo non è facile perché quando perdi il tuo avversario ti domina fisicamente, ti sottomette. Accettare la sconfitta richiede grande maturità e controllo.” Queste parole mi colpirono molto, sia per l’autorevolezza della fonte, sia perchè conoscevo bene il valore sociale del suo impegno e della sua attività. In più c’era nel suo tono di voce la spontaneità di chi vuole condividere una conoscenza, non c’era alcuna traccia di falsa modestia e traspariva il sottile compiacimento non per i successi raggiunti ma per essere riuscito a innalzare i propri limiti fisici (e io aggiungo anche morali) oltre una soglia a dir poco sorprendente. Per me, che sono anche un coach aziendale e sportivo e mi occupo di modeling, quelle parole furono un concentrato di insegnamento e sono felice di essere riuscito a trarne applicazioni anche a livello di organizzazione aziendale. Le motivazioni che avevano generato il bisogni di crescita apparivano evidenti: la capacità di valorizzare il proprio talento, il miglioramento personale, il sistema di valori che incarnava e che era disposto a condividere, la voglia di trasferire ad altri atleti un insegnamento profondo. L’esaltazione di quanto codificato da Maslow e Alderfer. Quante applicazioni aziendali era possibile ricavarne sul piano della motivazione? La voglia di ricercare e accettare nuove sfide, la capacità di rimettersi costantemente in gioco, il raggiungimento di interessi personali attraverso gli interessi sistemici, la ricerca delle soluzioni e delle “abilità di risposta”, la voglia e la capacità di far emergere le eccellenze, l’orientamento a condividere la conoscenza e i successi, la capacità di tesorizzare la conoscenza a beneficio della collettività e dei singoli, l’orientamento ad assumere responsabilità e ad agire con onestà di intenti, il valorizzare la propria percettività ponendosi in uno stato di ascolto e comprensione, la ricerca costante del miglioramento personale e della costanza di applicazione, la ricerca di un’autorealizzazione che vada ben oltre il riconoscimento sociale, il desiderio di edificare metodologie e processi che resistano al tempo. Gli ambiti di applicazione spaziavano dalla comunicazione interna, al coaching, alla gestione delle risorse umane in generale, alla formazione e alla vendita.
UN ESEMPIO CONCRETO: COME ORGANIZZARE UN GARA DI INCENTIVAZIONE PER VENDITORI
Come incentivare i venditori in un determinato periodo dell’anno è un tema che frequentemente conduce all’organizzazione di un contest, di una gara di produttività. E’ innegabile che la competizione è un ottima leva per elevare le performance, così come nello sport un atleta durante la prestazione agonistica riesce ad essere più concentrato (o egualmente concentrato, ma con minor sforzo) di quanto solitamente avviene durante un allenamento. Molte aziende, quindi, investono risorse ingenti per motivare i venditori:
- comunicazione pre-gara;
- presentazione gara;
- aggiornamento classifiche;
- premi;
- premiazioni.
Se ciascun punto è curato il risultato è solitamente buono su una piccola percentuale di venditori. Questo è tutto sommato normale, corrisponde al principio di Pareto (anche detto legge 80/20), che è sintetizzabile nell’affermazione: la maggior parte degli effetti è dovuta ad un numero ristretto di cause. Abbiamo però osservato alcune effetti che non consideriamo positivi:
- solitamente, quelli che non riescono a competere per il vertice, abbandonano la competizione dichiarando “scarso interesse”, “maggiore scaltrezza di quelli che cadono in inganno”, “mancanza della necessità di dover dimostrare il loro valore in quanto già dimostrato in passato”.
- quelli che restano in gara competono con grande accanimento e, pur di vincere, oltrepassano i confini delle regole dell’attività dimostrando di anteporre il risultato “gara” al risultato “lavoro”.
- per tutti è poi anche riscontrabile un calo di produttività post gara e una sorta di pericolosa conservazione degli affari più importanti nei periodi pre-gara.
Interventi sul regolamento per equalizzare i risultati in base alla storicità e consentire così ai meno performanti di competere con i più bravi sono solitamente vissuti come iniqui e finiscono per demotivare proprio i più bravi e generare uno sbilanciamento costi/benefici notevole. Un utilizzo esasperato dell’incentive è osservabile nelle strutture commerciali verticali, con elevato turn over, come ad esempio le reti di multilevel marketing. Le presentazioni sono in grande stile, così come le premiazioni, e questa dinamica riflette tutta l’organizzazione aziendale. Si fa leva sui bisogni intensi e poco persistenti esasperando il valore dei premi e del riconoscimento sociale (bisogni di esistenza e bisogno di relazioni). Abbiamo anche osservato che queste dinamiche riportate (direi inopportunamente) in strutture orizzontali e con basso turn over comportano spesso effetti negativi superiori ai vantaggi di produttività. In che modo allora organizzare una gara di incentivazione ottimale per una organizzazione di vendita tradizionale (che rappresenta la quasi totalità del mercato)?
Il primo principio da osservare è la trasparenza.
Gli obiettivi vanno dichiarati. Una gara di incentivazione è funzionale al proprio lavoro (e non il contrario) ed è quindi uno strumento messo a disposizione della struttura per ricercare una overperformance. La cosa ha un valore che va molto oltre i premi e il momento di gloria dei vincitori (che comunque vanno previsti): si tratta di acquisire la consapevolezza di esser capaci di esprimere un maggior potenziale. In questa ottica ci saranno vincitori e vincenti. I vincenti sono quelli che trovano nella sfida della gara solo un supporto per una sfida più grande che è il proprio lavoro, sono quelli disposti a mettersi in gioco ogni volta, quelli che fanno del miglioramento personale una costante senza limiti di obiettivi o di età, quelli che accettano la sconfitta ma che lottano per la vittoria dando il massimo fino in fondo, sono quelli che, terminata la gara, continueranno a produrre e a incrementare i loro risultati condividendo e scambiando esperienze e metodologie con i colleghi, sono quelli che sapranno vivere con impegno, concentrazione e leggerezza i momenti di testa a testa, sono quelli che sapranno costruire un edificio solido e che sapranno ripetersi e migliorarsi progressivamente, sono quelli che penseranno che se ha vinto qualcun altro lo ha meritato e che questo è uno stimolo per dare di più da subito, quelli che avranno la capacità di estrarre e decodificare dalla loro overperformance una metodologia replicabile, quelli che avranno il coraggio di esprimere il massimo delle energie e la consapevolezza di poterle rigenerare a proprio piacimento. E chiaro che il regolamento di gara può solo premiare i vincitori, anche perchè il meccanismo competitivo è alla base della motivazione. E’ opportuno, inoltre, far decorrere la gara nel giorno esatto della sua presentazione o anche retrodatarla (le scuse tipo io non sapevo di essere in gara cadono da sole quando il messaggio è “la gara è uno strumento, non un obiettivo” e questo accorgimento attenua il fenomeno della “conservazione” degli affari più ghiotti).
Il secondo principio da osservare è restare coerenti con i valori esplicitati e portare il focus sulle motivazioni persistenti e incrementali. Occorrerà, quindi, generare dinamiche costruttive di apprendimento intorno alla gara, momenti di condivisione e di scambio. Il messaggio deve essere: vinciamo tutti se otteniamo più risultati rispetto a ieri, indipendentemente da chi si aggiudicherà il premio finale. In questa ottica, e se il regolamento lo contempla è addirittura meglio, trovano una ottima collocazione le attività di team building e di team working. E’ fondamentale cogliere ogni buona occasione per valorizzare una metodologia e porre sempre l’accento sulla crescita professionale. Quello che solitamente accade è che per comodità si evidenziano le performance degli altri sperando così di accentuare la competizione. L’effetto di questo comportamento non è positivo in quanto o le persone si allontanano dalla competizione perché ritengono di non poter più vincere o raccolgono la sfida ed esasperano i comportamenti anteponendo l’obiettivo gara all’obiettivo lavoro (effetti di leve motivazionali molto intense e poco persistenti e profonde). In realtà quel tipo di intervento è del tutto inutile. La dinamica della competizione è attiva indipendentemente dal fatto di porvi sopra il focus. Tutti i partecipanti, anche quelli che sembrano più distratti e meno interessati fanno molto più auditing sugli altrui risultati di quanto si possa immaginare. Porvi l’accento in maniera poco elegante sovraespone lo strumento e provoca effetti contrari o eccessivi. Spesso bisogna confrontarsi con i “sospetti” di attività oltre le regole svolte da chi ottiene più risultati. Anche in questa circostanza è fondamentale conservare una linea coerente: “Non so se sarai vincitore, questo lo scopriremo durante la gara. Hai però l’opportunità di essere vincente se ce la farai a concentrarti sul tuo lavoro e sui tuoi risultati. Gli altri raccoglieranno quello che hanno seminato, nel bene e nel male”.
Il terzo principio è presidiare i risultati dopo il termine della gara. Verificare chi continua a produrre e gratificarlo in qualche modo, anche durante la premiazione. Occorre valorizzare il metodo e la continuità di risultati. Se non è possibile erogare un premio “a sorpresa” a chi ottiene i migliori risultati nel periodo immediatamente successivo al termine della gara l’alternativa è un riconoscimento personale, una enfasi particolare durante la celebrazione dei risultati.
Il quarto principio è attribuire alla premiazione un valore personale. Non sono gli squilli di trombe a dare un riconoscimento profondo, piuttosto la capacità di chi premia di riconoscere il premiato citando pubblicamente aspetti del suo lavoro, delle cose che ha fatto, di alcune sue abilità o iniziative, di difficoltà che ha dovuto superare. Questo tipo di celebrazione produce sorpresa e un profondo compiacimento nel premiato, soprattutto se questi non pensava di incontrare un tale livello di attenzione alla sua opera e alla sua persona. Il tutto va a beneficio del senso di appartenenza e dell’autostima. Occorre dare visibilità alla persona e al suo operato, coinvolgendolo oltre il “ritira il premio” e chiedendogli di preparare un piccolo intervento.
Il quinto principio è dare continuità alle attività della gara organizzando gruppi di lavoro, estrazione e condivisione delle best practices, sistemi di comunicazione interna (newsletter, blog), pubblicando articoli tecnici e/o divertenti, attivando dinamiche di community costruttive e attinenti e coinvolgendo il numero più elevato possibile di persone in tutte le fasi della realizzazione. Si genereranno aspettativa e desiderio di partecipazione e la gara sarà, nelle edizioni successive, vissuta con elevati livelli di competitività ma con leggerezza e compiacimento. Abbiamo applicato questi cinque principi a gruppi di venditori appartenenti a contesti non omogenei. Quelli che operavano in sistemi di valori non allineati riuscivano ad essere performanti in un anno per poi sparire definitivamente negli anni successivi. Quelli invece che operavano in ambienti con sistemi di valori così costruiti miglioravano progressivamente e riuscivano a dare stabilità e consistenza ai loro risultati, primeggiando e risultando sia vincitori che vincenti.