La motivazione come energia principale del benessere individuale e organizzativo (parte II di III)

– estratto dell’intervento di Antonio Beatrice al “Sales Kickoff 2011” di Sun Microsistem, la divisione Hardware del gruppo Oracle –

Parte II (di III) – Le aziende vogliono gente motivata e le persone vogliono aziende che le motivino, in realtà esiste una relazione di simmetria e di reciprocità tra il contesto organizzativo e l’individuo che ne fa parte: è un legame molto forte che quando è attivo e virtuoso produce delle leve motivazionali molto forti a beneficio dell’organizzazione tutta. Condurre l’azienda in assenza di simili legami è comunque possibile, rinunciando ai benefici e al benessere derivanti dall’attribuire un “senso” alle attività, ma il tutto si traduce in perdite di denaro. È raro incontrare persone che hanno la fortuna di riuscire a fare della propria passione il proprio lavoro, capita molto spesso invece di trovare persone che mettono passione nel loro lavoro: questo non dipende dalla fortuna, questo dipende da sé stessi e da ciò che si riesce a esprimere nelle cose che si fanno. L’organizzazione infatti si giova del fatto che le persone si esprimano e siano più creative perché esprimere se stessi significa mettersi in gioco fino in fondo; d’altra parte una persona che riesce a trovare la gratificazione nel proprio lavoro, anche quando si dedica al suo tempo libero è una persona più serena, una persona più tranquilla, una persona che è più paga della propria vita.

A sostegno di ciò  studi di Clayton Alderfer. Cosa dice Alderfer? Alderfer propone il modello ERG (Existence / Relatedness / Growth ossia Esistenza / Relazione / Crescita) che riorganizza i livelli dei bisogni di Maslow e ne rivede i meccanismi di soddisfazione e gratificazione.

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Alderfer raggruppa nei bisogni di esistenza quelli fisiologici e i bisogni di sicurezza e nei bisogni di relazione, insieme all’affetto, i bisogni di riconoscimento sociale e affettivo. In pratica,  rispetto a Maslow, scompone il bisogno di stima: mentre i bisogni di riconoscimento sociale e affettivo vengono inseriti tra i bisogni di relazione, l’autostima e l’autorealizzazione rappresentano  l’insieme dei bisogni di crescita.

Questo aspetto diviene importante nel momento in cui osserviamo le relazioni e le gerarchie tra i bisogni:

  • meno i bisogni di esistenza saranno soddisfatti, più saranno desiderati;
  • più i bisogni di esistenza saranno soddisfatti, più i bisogni di relazione saranno desiderati;
  • meno i bisogni di relazione saranno soddisfatti, più saranno desiderati;
  • più i bisogni di relazione saranno soddisfatti, più i bisogni di crescita saranno desiderati;
  • più i bisogni di crescita saranno soddisfatti, più saranno desiderati.

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Anche per Alderfer, come Maslow, a soddisfazione dei bisogni di livello meno elevato spinge l’uomo alla soddisfazione di quelli di livello più alto, dinamica di progressione, ma esiste anche una dinamica di regressione: se un bisogno rimane irrealizzato, la persona può regredire verso bisogni di livello più basso più facile da soddisfare. Inoltre quando si riescono a soddisfare bisogni come autostima e autorealizzazione, la motivazione che ne scaturisce è a sua volta persistente e incrementale, quindi se una persona riesce a trovare nella propria vita piuttosto che nel proprio lavoro un sistema per gratificarsi in maniera implicita e sviluppare e autostima e autorealizzazione, sarà una persona che si automotiverà sempre di più. Questa è la dinamica di rafforzamento. L’autorealizzazione è uno dei pochi stati nei quali l’essere umano riesce a raggiungere lo stato della felicità. Se ciò può sembrare estremo, è sicuramente valido parlando di benessere, sia individuale che aziendale.

Come nello sport, dove essere vincitori è determinate, sempre più persone vogliono essere vincitori, vogliono potare a casa un trofeo: in realtà c’è qualcosa di più del diventare vincitori, che è l’essere vincenti. Diversamente dall’immaginario comune in cui il vincente è colui che punta sempre alla vittoria,  il vincente è la persona che si mette in gioco, che è orientato a migliorarsi, che è orientato alla crescita personale, che accoglie le sfide accettando i propri limiti e impegnandosi a superarli. Ognuno di noi può essere vincente, sempre… l’essere vincenti è uno stato personale e non dipende dagli altri, diversamente dal vincitore che è sempre uno e che dipende anche da circostanze che possono verificarsi quella volta e poi chissà quando. Per esempio, l’Italia ha vinto l’ultimo Campionato del Mondo di calcio (2010) perché ci sono state quelle circostanze, magari ci sono stati dei Campionati in cui la Nazionale ha espresso un calcio migliore, con una squadra più compatta, e nonostante questo non ne è uscita vincitrice. Randy Pausch nella sua ultima lezione ci dice: “Non impegnare la tua vita per inseguire i tuoi sogni, vivi la tua vita adeguatamente e i sogni verranno da te… saranno i risultati che verranno da te”.

I lavori di Maslow e Alderfer si concentrano molto sui fattori che determinano intensità e persistenza della motivazione, un’altra caratteristica della motivazione è la sua direzionalità: il dirigere la motivazione nella maniera giusta massimizza i risultati degli sforzi prodotti. Per esempio: nelle aziende a volte si comunicano  iniziative impopolari con frasi come “Bisogna fare … altrimenti non possiamo garantire il posto di lavoro.” In questo modo si attiva una motivazione di fortissima intensità, anche se ciclica e non persistente. Passiamola comunque per buona e poniamoci la domanda:perchè poi all’interno di queste organizzazioni con questo tipo di comunicazione i risultati non arrivano? Perché è la terza variabile a entrare in gioco: davanti alla perdita di sicurezza non c’è un bisogno sottostante da soddisfare e la direzione della motivazione non è quella di fare ciò che viene richiesto, ma è quella di difendere la propria sicurezza. Così si motivano le persone ad assumere un comportamento di chiusura, per cui atteggiamenti corporativi, barricate… tutto ciò che porta le persone a concentrarsi sul problema piuttosto che a cercare delle soluzioni. Si attivano, quindi, dinamiche che sono sì motivazionali, ma nella direzione opposta per quanto l’intenzione fosse quella di motivare le persone a fare.

Rispetto ai bisogni finora trattati, interessante è il contributo di David McClelland, psicologo americano, che nel suo lavoro “The Achievement Motivation” analizza il bisogno di riuscire, bisogno che ciascuno interpreta con un orientamento strettamente personale.

In cosa consiste questo orientamento a riuscire? McClelland ne individua tre: orientamento al successo, orientamento al potere e orientamento all’affiliazione.

Per quanto riguarda l’orientamento al successo o ad evitare l’insuccesso, il raggiungimento della meta va oltre la ricompensa prevista: la gratificazione è implicita. Chi ha l’orientamento al risultato è quello che Giordano Bruno definiva il contadino: il contadino non è soltanto uno che trae la gratificazione dal cogliere il frutto e mangiarlo, ma trae gratificazione anche dal vedere la pianta crescere, dall’osservare questa vita che prende forma. In questo caso una persona che è orientata al risultato è disposta anche a sacrificare il consenso personale piuttosto che il potere, è una persona che tende ad avere delle relazioni con delle giuste simmetrie, non vuole prevaricare e allo stesso momento è determinato a portare avanti le proprie idee. È una persona che è molto concentrata sul risultato, una persona che tendenzialmente svilupperà più facilmente autostima e autorealizzazione.

Diverso è l’orientamento all’affiliazione o a evitare l’isolamento, che è una ricerca di relazioni confidenziali e supportive e un’ampia rete di legami sociali. Negli ultimi anni abbiamo i social network che hanno spopolato, dei network di relazione sociali, alcune con modalità di business e altri con finalità squisitamente affettive. Sicuramente la persona orientata all’affiliazione in molti casi sacrifica il risultato per la relazione perché la pace e la tranquillità che ne deriva sono una gratificazione molto forte: è una persona che deve avere questa consapevolezza, perchè potrebbe trovarsi nelle condizioni di dover sacrificare la relazione per il risultato, che è una cosa che farà poco volentieri.

Diverso è il caso dell’orientamento al potere o a evitare la dipendenza: qui parliamo di una persona che è orientata a garantirsi una sicurezza, quindi è una persona che non ha ancora soddisfatto (oppure che vuole alimentare) bisogni importanti. Chi è fortemente orientato al potere è una persona che vive una difficoltà, tende a creare una situazione di predominanza rispetto agli altri e manifesta una certa aggressività, perché ha una forte necessità di sicurezza. In realtà si tratta di una persona che ha un bisogno di livello basso da soddisfare ed è fondamentale che comprenda che questo bisogno può essere soddisfatto attivando dinamiche diverse, che gli daranno sicuramente più garanzie.

Dal punto di vista organizzativo è importante dire che questo bisogno di sicurezza può tradursi in operatività nel tesorizzare la conoscenza: vi è mai capitato di conoscere in azienda qualcuno che sia restìo alla condivisione delle informazioni, perchè vuole gestire il potere della conoscenza? Si tende a creare colli di bottiglia per far passare per le proprie mani le cose che devono essere fatte. Tuttavia, oggi le dinamiche delle organizzazioni, così come quelle dei mercati, sono così veloci che tesorizzare la conoscenza vuol dire tesorizzare qualcosa che in breve diventa obsoleto: l’unico sistema per soddisfare il proprio bisogno di sicurezza è condividere questa conoscenza, arricchendola e aggiornandola costantemente. Una dinamica cooperativa, è dimostrata da numerosi studi, è una dinamica che porta molti più risultati al singolo di quanti ne può portare una dinamica squisitamente individuale.