Loss Prevention (parte I di V) – Incendio, esplosione ed effetti sulle persone e sulle strutture

– di Antonio Beatrice e Luciano Lupoli –

Per “incendio” intendiamo una reazione chimica (combustione) che non è più gestibile con mezzi ordinari e che richiede l’impiego di mezzi straordinari per contenere o ridurne gli effetti.

INCENDIO

Presupposto dell’incendio è quindi la combustione: quella ossidazione che può propagarsi anche ad alta velocità ed in seguito alla quale si sviluppano calore, fiamme, gas, fumo e luce.
E’ necessario che siano presenti alcuni elementi affinché la reazione chimica di combustione sia definita tale, ed in particolare è necessaria la contemporanea presenza di tre elementi in mancanza di uno solo dei quali, la combustione non sussiste:

  • combustibile
  • comburente
  • sorgente di calore (che costituisce l’innesco)

Quello che segue è lo schema del “Triangolo della Combustione”, rappresentazione attraverso la quale si è soliti ritrarre gli elementi essenziali dalla quale la stessa scaturisce.

Triangolo della combustione

Comburente per eccellenza è l’ossigeno contenuto nell’aria; sono facilmente infiammabili, tuttavia, anche quelle sostanze la cui molecola è composta da una quantità di ossigeno tale da rendere possibile la combustione come, ad esempio, le molecole di esplosivi e celluloide. Essendo quindi l’elemento comburente particolarmente diffuso perché contenuto nell’aria che respiriamo, possiamo senza remore affermare che, di fatto, ciò che caratterizza un incendio, sono il combustibile e la sorgente di innesco.

La classificazione degli incendi è convenzionalmente stabilita in base alla tipologia, ma principalmente con riferimento allo stato fisico del combustibile:

incendi di materiali solidi combustibili     – classe A-       carbone, legno, gomma, carta.

incendi di liquidi infiammabili                    – classe B –     olio, benzina, soventi.

incendi di gas infiammabili                          – classe C –     metano, GPL.

incendi di metalli combustibili                    – classe D –     magnesio, sodio, potassio.

L’identificazione della tipologia di incendio è fondamentale per determinare il tipo e la tecnica di intervento nonché la sostanza estinguente da impiegare. Diverse sono le cause per cui un incendio può avere luogo e sono tutte da rinvenire nelle possibili “fonti di innesco”.

ACCENSIONE DIRETTA

Si configura per contatto di materiale ad altissima temperatura (scintille di saldatura, fiammiferi e mozziconi di sigaretta, resistenze elettriche, lampade ecc.) con un materiale combustibile sempre in presenza di ossigeno (comburente). In tale categoria rientrano per lo più incendi di carattere doloso ovvero commessi dall’uomo.

ACCENSIONE INDIRETTA

Si ha accensione indiretta, quindi senza contatto diretto di materiali, quando è il calore ad innescare l’incendio, ovvero secondo il principio fisico cosiddetto “dell’irraggiamento “ termico, conduzione o convezione.
I più classici esempi sono: la propagazione di calore attraverso elementi metallici che costituiscono lo scheletro dell’edificio; l’estensione dell’incendio, a diversi piani di un edificio, attraverso la tromba delle scale o il vano ascensore a causa dell’aria calda generata dall’incendio stesso.

ATTRITO

È definita accensione per attrito quella accensione il cui innesco è costituito dal calore prodotto per strofinamento o sfregamento di due materiali.

AUTOCOMBUSTIONE

Alcune tipologie di reazioni chimiche, l’azione biologica, ed il processo di ossidazione, possono dar luogo al fenomeno dell’ Autocombustione; tale fenomeno è caratterizzato dal fatto che il calore di innesco viene prodotto internamente al combustibile o dal combustibile medesimo e non mediante innesco esterno.

Esempi ne sono la fermentazione di vegetali; polveri di cereali; cenci, pezze o trucioli impregnati di olio di lino; ferro o nichel in polvere, ecc…. L’autocombustione può essere anche dovuta a condizioni di “contorno” come : temperatura di stoccaggio troppo elevata, disposizione del materiale tale da non consentire lo smaltimento del calore formatosi, mancanza di ventilazione nel magazzino in cui il materiale è stoccato, grado di umidità non ideale ovvero presenze organiche estranee che danno luogo a processi chimici e biologici.

Tra i prodotti maggiormente sottoposti al rischio di autocombustione: cereali,farine di pesce e legno, fertilizzanti, oli vegetali ed animali, pitture e vernici, carbone, scarti della lana, poliuretano espanso, stracci ed altri materiali fibrosi unti, carta destinata al macero umida.

PARAMETRI della COMBUSTIONE

Molti sono i parametri che qualificano la reazione chimica della combustione, tra i più importanti distinguiamo:

  • La temperatura di accensione o autoaccensione;
  • Il potere calorifico;
  • La temperatura d’infiammabilità;
  • I limiti di infiammabilità e di esplodibilità;

La temperatura di accensione o autoaccensione

É la soglia minima di temperatura da raggiungere ed alla quale la combinazione combustibile-comburente inizia a bruciare continuativamente ed autonomamente, senza che si renda necessario alcun aggiuntivo apporto di calore o di energia dall’esterno. Esempio: diversa è la soglia di temperatura minima da raggiungere a seconda del materiale di riferimento. Se consideriamo il legno, la temperatura di accensione raggiunta la quale tale materiale inizierà a bruciare, anche se è cessata la somministrazione di energia termica dall’esterno, è di circa 250 °C.
Per la Benzina si parla di una temperatura di accensione di 250 °C, mentre il gasolio 220 °C; ciò vuol dire che se riscaldassimo contemporaneamente un barile di benzina ed un barile di gasolio quest’ultimo inizierà a bruciare spontaneamente prima della benzina; molto più alta è invece la temperatura di accensione del metano che brucia a 530 °C.

Potere calorifico (Kcal/Kg)

Detto anche calore di combustione; attraverso questa dicitura si identifica la quantità di calore che si riesce a produrre attraverso la combustione di tutta l’unità di massa o di volume di una sostanza combustibile presa in esame; il potere calorifico viene convenzionalmente distinto in superiore e inferiore.
Il potere calorifico superiore si misura includendo anche il calore sviluppato dalla condensazione del vapore d’acqua. Il potere calorifico inferiore si calcola come quello superiore escludendo il calore di condensazione del vapore d’acqua. Anche il potere calorifico varia a seconda del materiale o sostanza presa in esame ; il potere calorifico inferiore del legno, è pari a 4040 Kcal/Kg, quello della benzina di circa 10.000 Kcal/Kg.

Temperatura di infiammabilità (°C)

Solamente per i liquidi combustibili/infiammabili si definisce La “Temperatura di Infiammabilità”. Con tale espressione si intende la temperatura al di sopra della quale un liquido effonde vapori che, miscelati con l’ossigeno dell’aria, ed in caso di innesco, sono a loro volta incendiabili.
La benzina è senza dubbio ritenuta tra le sostanze più pericolose per quanto riguarda la prevenzione incendi. Già a temperatura ambiente emana vapori che possono incendiarsi con la somministrazione di una piccola quantità di calore e ciò dipende dal fatto che essa ha una Temperatura di Infiammabilità pari a – 20 °C.
Immaginiamo una tanica di benzina, ed immaginiamola senza coperchio, se osserviamo attentamente (facendolo in controluce il fenomeno è più evidente) potremo chiaramente notare che la benzina emana vapori anche a temperatura ambiente.
Il fenomeno che abbiamo appena osservato, non si verifica a temperatura ambiente per il gasolio e ciò perché esso ha una Temperatura di Infiammabilità di circa 65 °C; per questo motivo, il gasolio pur avendo una temperatura di accensione più bassa della benzina, a temperatura ambiente risulta essere meno pericoloso di quest’ultima.
Per osservare il gasolio emettere vapori capaci di contribuire alla combustione è necessario elevare la temperatura di detto liquido infiammabile, ad una temperatura superiore a 65 °C.

Da tutto quanto asserito si può sostenere che il criterio “temperatura di infiammabilità” è il parametro principale per definire la pericolosità di un liquido combustibile/infiammabile.

Limiti di infiammabilità (%)

I limiti di infiammabilità delimitano il range nell’ambito del quale, in presenza di un innesco, si ha accensione e sviluppo della fiamma nella miscela; tale range è espresso in termini percentuali.

I limiti individuati sono due, uno inferiore e l’altro superiore. Il primo indica il valore più basso di concentrazione in volume di vapore della miscela ove, al di sotto della quale, pure in presenza di innesco, non si ha accensione per mancanza di combustibile.
Il limite superiore di infiammabilità è, al contrario, la più alta concentrazione in volume di vapore della miscela, oltre la quale, pur in presenza di innesco, non si ha accensione per eccessiva quantità di combustibile. Ecco alcuni esempi: per la benzina limite inferiore (Li) = 1%; Limite superiore (Ls) = 6.5%; per il metano Li = 5%; Ls = 15%.

Limiti di esplodibilità (%)

Questo limite, espresso anch’esso in misura percentuale, indica l’area entro la quale, a seguito di innesco, viene prodotta un’esplosione della miscela.
Concettualmente tali limiti, seguono la stessa ratio del limite di infiammabilità: al di sotto di una certa soglia di concentrazione in volume della miscela non si ha esplosione, pur in presenza di un innesco, per mancanza di combustibile sufficiente.
Una concentrazione, al contrario, in volume di vapore della miscela troppo alta, non da luogo ad esplosione pur in presenza di un innesco, per eccesso di combustibile.

 LA COMBUSTIONE DELLE SOSTANZE

Vari sono i parametri che identificano, in particolare, la combustione delle sostanze solide:

  • Gli elementi di cui la sostanza è composta;
  • Porosità del materiale;
  • Umidità del materiale;
  • Forma e pezzatura del materiale

In generale, possiamo osservare che la combustione delle sostanze dipende dallo stato di aggregamento della materia combustibile e quindi dal suo modo di interagire con il comburente. I vapori dei liquidi possono formare,insieme all’ossigeno contenuto nell’aria,una miscela infiammabile.
Dovendo necessariamente un liquido infiammabile, per essere parte attiva della reazione chimica della combustione, passare dallo stato liquido allo stato di vapore (evaporazione), si può senz’altro sostenere che l’indicatore della maggiore o minore combustibilità di un liquido ci è segnalato dalla sua temperatura di infiammabilità, in base alla quale i liquidi infiammabili sono classificati.

Qui di seguito una breve schematizzazione dei parametri che contraddistinguono il fenomeno della combustione dei liquidi infiammabili:

Categoria Punto di Infiammabilità Materiali coinvolti
A liquidi aventi punto d’infiammabilità inferioreA 21 °C Petrolio Greggio, virgin nafta,Benzine, benzolo, etere di Petrolio, miscele di carburanti
B Liquidi aventi punto d’infiammabilità Compreso tra 21°C e 65°C Petrolio raffinato, acqua raggia Minerale, alcol etilico, alcol Metilico, cherosene
C Liquidi aventi punto D’infiammabilità Compreso tra 65°C e 125°C Gasolio per riscaldamento, olio Combustibile, oli minerali Lubrificanti, residui della Distillazione, vasellina, paraffina, Bitume del petrolio.

il “limite di infiammabilità” è costituito da un intervallo di valori che esprimono la concentrazione in aria del vapore prodotto dal liquido, che solo entro certi valori risulta infiammabile. Quanto alla densità, i vapori dei liquidi infiammabili sono sempre più pesanti dell’aria.

Nella tabella sottostante sono indicati alcuni esempi e le temperature di infiammabilità di alcune sostanze:

SOSTANZE Temperatura diInfiammabilità (°C) Categoria
Gasolio 65 C
Acetone 18 A
Benzina 21 A
alcool etilico 13 A

Gli incendi, in funzione del combustibile utilizzato, vengono classificati in 4 diversi modi:

Fuoco

Materiali coinvolti

Estinguenti ammessi

Classe A Solidi combustibili comuni con formazione di braci, come: carta, tessuti, pelle, legno, gomma e derivati Acqua, polvere chimica polivalente, anidride carbonica, estinguenti alogenati, schiuma ad alta espansione per ambienti chiusi
Classe B Liquidi infiammabili e solidiche fondono prima di bruciare, come: idrocarburi, oli, grassi, alcoli, etere, solventi, carburanti, lubrificanti Schiuma, polvere chimica, anidride carbonica, estinguenti alogenati
Classe C Gas infiammabili, come:GPL, Metano, idrogeno,Propano, butano, etilene,Propilene Polvere chimica, estinguentiAlogenati
Classe D Sostanze chimiche reattiveSpontaneamente con l’acqua oL’aria combustibili cheProvocano combustione oEsplosioni spontanee Polveri Speciali
Classe E non più usato Apparecchiature elettricheSotto tensione Polvere chimica, anidride carbonica,Estinguenti alogenati

 POLVERI

Le polveri sono considerate un materiale solido finemente suddiviso. Le polveri di un materiale , anche non combustibile,possono essere causa di esplosione; tale fenomeno è reso possibile da molteplici fattori, i principali dei quali sono concentrazione e granulometria. Tra i principali prodotti le cui polveri possono dar luogo ad esplosione ci sono prodotti agricoli come zucchero a velo, cacao, caffè, farine e granaglie,prodotti carboniosi, metalli come titanio alluminio e silicio, materie plastiche ed altri prodotti come legno, sughero e zolfo.

MATERIE PLASTICHE

Natura dei fumi ed opacità degli stessi (di solito tossici e corrosivi), oltre alla capacità di fondere a basse temperature, sono due parametri di cui normalmente non si tiene conto ai fini della classificazione dei materiali quanto alla loro resistenza al fuoco. Tali parametri sono invece cruciali per quanto concerne le materie plastiche. Caratteristica peculiare di queste ultime è la grande difficoltà di estinzione a causa della presenza di aria all’interno della struttura dell’espanso che alimenta la combustione.

 AUTOESTINGUENTE

È considerato un materiale con classe di reazione al fuoco 1-2 o nel caso di materiale di arredo 1IM-2IM (a tal proposito è bene menzionare le classi di reazioni al fuoco che indicano il comportamento di un materiale in presenza di un focolaio di dimensioni ridotte: classe “0” materiali non combustibili; da classe 1 a classe 5 materiali da costruzione combustibili, da classe 1IM a 3IM mobili combustibili. Un materiale combustibile è in grado di propagare un incendio qualunque sia il tipo di reazione al fuoco).

IGNIFUGAZIONE

È un trattamento che migliora la reazione al fuoco dell’elemento sottoposto al trattamento che tuttavia non rende incombustibile un elemento combustibile.

DINAMICA DELL’INCENDIO

Le fasi caratteristiche dell’incendio durante la sua evoluzione sono essenzialmente quattro. La “Fase d’inizio”, la cui durata varia in base ai seguenti fattori:

  • la possibilità di propagazione della fiamma;
  • l’infiammabilità del combustibile;
  • la velocità a cui si decompone il combustibile coinvolto dall’incendio;
  • la geometria ed il volume degli ambienti coinvolti nell’incendio;
  • la possibilità di dissipazione del calore nel combustibile;
  • la ventilazione dell’ambiente
  • le caratteristiche superficiali del combustibile;
  • la distribuzione del combustibile nell’ambiente, punti di contatto, altezza.

Nella “Fase di estensione” si ha:

  • una riduzione della visibilità dovuta ad i prodotti della combustione;
  • una produzione di gas tossici e corrosivi;
  • la formazione e propagazione di sacche nelle quali gas infiammabili si concentrano e possono raggiungere i loro limiti di infiammabilità e di esplosione;
  • un aumento della velocità di combustione;
  • un rapido aumento delle temperature;
  • un aumento dell’energia di irraggiamento;
  • effetti al contorno (sinergismo).

Nella fase di estensione, alcuni materiali prossimi al focolaio di incendio, anche se non toccati dal fuoco, a causa del calore emanato dall’incendio raggiungono il loro punto di accensione dando così maggior corpo al fenomeno producendo gas infiammabili.

Le principali peculiarità della Fase d’incendio generalizzato (o flash-over), sono:

  • un repentino innalzamento della temperatura;
  • un aumento esponenziale della velocità di combustione;
  • un forte incremento dell’emissione di gas che si espandono sia orizzontalmente sia, e maggiormente, in senso ascensionale con zone di turbolenza che si formano ben visibili;
  • tutti i combustibili nei pressi del focolaio si autoaccendono, quelli più lontani si riscaldano e raggiungono la loro temperatura di combustione, così producendo gas di pirolisi infiammabili;
  • si formano onde di choc e lance di fuoco.

La “Fase di estinzione”, infine, ha luogo dopo che è stata completata l’accensione dei materiali combustibili, il fenomeno incomincia a rallentare e, in assenza di ulteriori apporti esterni, si avvia l’estinzione; la temperatura nell’ambiente incomincia a decrescere. Le temperature che è possibile raggiungere durante un incendio dipendono dalle caratteristiche dei materiali presenti. A titolo indicativo, la temperatura raggiungibile dai materiali solidi interessati dalla combustione è compresa tra i 700 °C ed i 1200 °C.
La temperatura delle fiamme è variabile, a seconda del tipo di combustibile ed alla ventilazione, tra i 1700 °C ed i 2500 °C, mentre la temperatura del soffitto, in un locale chiuso, prima mantiene i 300 °C / 400 °C per un certo tempo e poi raggiunge rapidamente i 1000 °C.
Nel concreto, le temperature che mediamente vengono raggiunte sono generalmente inferiori a causa delle aperture che, prodotte da rottura di vetri e da crolli, permettono lo sfogo di fumi e calore e l’afflusso di aria fresca: normalmente non si superano, salvo in aree limitate, i 700 °C.
Il grafico che segue illustra la reale evoluzione di un incendio in un locale chiuso:

 Grafico evoluzione incendio

 

COMPARTIMENTO ANTINCENDIO

All’interno di un edificio può essere prevista una porzione dello stesso composta da elementi con un indice di resistenza al fuoco superiore con lo scopo di impedire , rallentare od ostacolare la diffusione dell’incendio.
Tra i principali elementi costruttivi atti a tale scopo ci sono i muri pieni (REI 120) ed i muri tagliafuoco (REI 240).
È bene prevedere il comparto antincendio ad esempio, tra una eventuale zona ove avviene la produzione ed i depositi,   tra zone altamente pericolose ed infiammabili ed il resto del fabbricato, in un edifico civile per proteggere vano scale e vano ascensore.
I serramenti di sicurezza antincendio costituiscono il punto debole delle compartimentazioni antincendio e sono usati per proteggere le aperture nelle compartimentazioni; più usati sono i REI 120.
Il sistema automatico che ne attiva la chiusura è dotato di un sensore termico ( che normalmente si attiva a 68gradi) oppure di un rilevatore di incendio.

L’esplosione

È considerata esplosione, la repentina espansione di una massa compressa di gas: l’energia che si propaga si disperde sia sotto forma di onda d’urto sia come energia cinetica dei frammenti proiettati. Conosciuto con il nome deflagrazione è il fenomeno di propagazione lenta di una fiamma (chiamato anche combustione), detonazione, invece, è chiamato il fenomeno rapido di propagazione.

In caso di deflagrazione, la velocità di sviluppo della reazione chimica nella miscela infiammabile non ancora bruciata è più bassa della velocità del suono, nel secondo è invece superiore.
Ambedue questi fenomeni sono, a tutti gli effetti, considerati esplosioni, ma gli effetti distruttivi delle detonazioni sono, come è comprensibile, superiori.
Scaturiscono direttamente dall’esplosione tre effetti, che sono: sviluppo di calore, produzione dell’onda d’urto e un picco di pressione.
Mentre nella deflagrazione viene generato un aumento di pressione 8 volte superiore alla pressione di partenza, nella detonazione l’aumento di pressione generato è di oltre 40 volte; in questo caso, l’onda di pressione anticipa, di solito, il fronte di reazione.
Ai processi di combustione normalmente seguono fenomeni luminosi comunemente chiamati fiamme, i quali scaturiscono dall’energia sviluppata durante la combustione. Le fiamme vengono diversamente distinte in base al tipo di combustibile con cui la combustione viene condotta. Ad esempio,  un’esplosione originata chimicamente è tra le combustioni più rapide e ne scaturisce un veloce accumulo di importanti quantità di gas entro un modesto volume.

Osserviamo questa differenza: facendo bruciare l’olio da lampada tramite il classico stoppino di una lanterna, la combustione sarà lenta, avremo un lento afflusso di vapori nei pressi della fiamma ed un lento aumento di fumi surriscaldati. Nebulizzando invece, l’alcool od olio, e facendolo evaporare saturando una stanza, la fiamma si propagherà molto rapidamente a tutto il materiale combustibile; tutto il gas e l’energia verranno prodotti in un lasso di tempo brevissimo, dando luogo ad un’esplosione.
È molto complicato disporre di misure per fronteggiare le conseguenze delle esplosioni come invece è possibile fare con gli incendi. Per proteggersi dalle esplosioni, Il modo migliore è prevenire la formazione di miscele infiammabili.

Gli effetti dell’incendio

Ogni materiale reagisce al fuoco in modo diverso, tale reazione è un fenomeno molto complesso che dipende da vari fattori; di seguito se ne illustrano i principali:

  • infiammabilità: ovvero la capacità di un materiale di entrare e permanere in stato di combustione, con emissione di fiamme e/o durante l’esposizione ad una sorgente di calore
  • velocità di propagazione delle fiamme: è velocità del fronte di fiamma che si propaga in un materiale
  • gocciolamento: si ha quando un materiale,esposto ad una sorgente di calore, rilascia gocce di materiale fuso
  • sviluppo di calore nell’unità di tempo: tale sviluppo di calore nell’unità di tempo si ha con riferimento ad un materiale in stato di combustione
  • produzione di fumo: quando la combustione è incompleta un materiale può rilasciare nell’aria visibili particelle sia solide che liquide che rimangono fluttuanti nell’aria.
  • produzione di sostanze nocive: produzione di gas e vapori da parte di un materiale in stato di combustione.

L’incendio produce, dunque, fumi, fiamme, calore e gas che sono idonei ad alterare i materiali colpiti, i quali, a secondo della loro natura, possono produrre gocciolamento e cedimenti strutturali.

Sull’essere umano l’incendio produce:

  • anossia (dovuto alla consistente riduzione di ossigeno nell’aria)
  • azione tossica dei fumi
  • riduzione della visibilità
  • azione termica

Durante la combustione possono essere prodotti i seguenti gas:

  • ossido di carbonio
  • anidride carbonica
  • idrogeno solforato
  • anidride solforosa
  • ammoniaca
  • acido cianidrico
  • acido cloridrico
  • perossido d’azoto
  • aldeide acrilica
  • fosgene

L’ossido di carbonio è incolore, inodore e non irritante è considerato senz’altro il più pericoloso tra i tossici del sangue, sia con riguardo alle sue caratteristiche di elevata tossicità, sia per le consistenti quantità sviluppate durante combustione. Si sviluppa in incendi annidati in ambienti chiusi ed in condizioni di scarsità di ossigeno. L’intossicazione da ossido di carbonio si manifesta con i tipici sintomi: tremori muscolari, cefalea, nausea, vomito, palpitazioni, astenia.
Di seguito uno schema che tiene in considerazione gli effetti della tossicità dell’ossido di carbonio (misurata in parti per milione – ppm) in relazione a quelli che derivano da un stato di stress, panico e condizioni termiche avverse :

Concentrazione di CO (ppm) Tempo massimo di esposizione (sec)
500 240
1000 120
2500 48
5000 24
10000 12

L’anidride carbonica  non ha effetti tossici sull’organismo umano, ma provoca asfissia, dato che si sostituisce all’ossigeno dell’aria. Qualora l’ossigeno nell’aria raggiunga valori inferiori al 17% in volume produce asfissia.
Tale gas influenza la frequenza respiratoria e la velocità e profondità del respiro. Ad esempio, con Co2 presente al 2% nell’aria, rispetto a normali condizioni, la velocità e la profondità del respiro aumentano del 50%, mentre con Co2 al 3% addirittura del 100%.

L’acido cianidrico è prodotto in modeste quantità dalla combustione, in incendi ordinari, in carenza di ossigeno (incompleta) di resina acrilica, uretanica, poliammidica, lana e seta. Tipico è l’odore di mandorle amare che emana.
Agisce principalmente su cuore e il sistema nervoso centrale (strutture cellulari ad alto fabbisogno di ossigeno), essendo un aggressivo chimico che agisce sulla catena respiratoria a livello cellulare cagionando, così, gravi sofferenze.
L’acido cianidrico può insinuarsi perché inalato oppure per via cutanea ed orale. A contatto con l’acidità dei succhi gastrici presenti nello stomaco i cianuri presenti nell’acido cianidrico vengono idrolizzati e interrompono la respirazione a livello cellulare con la inevitabile morte della cellula per anossia. I sintomi più comuni sono la cosiddetta “fame d’aria” (o iperpnea), un incremento della frequenza nella respirazione, arrossamento cutaneo, aumento della salivazione, bradicardia, ipertensione e cefalea.

Il fosgene è moto pericoloso in locali chiusi. È classificato gas tossico che scaturisce dalle combustioni di materiali contenenti cloro, esempi ne sono varie plastiche; a contatto con umido o con l’acqua si divide in anidride carbonica e acido cloridrico, quest’ultimo particolarmente pericoloso perché fortemente caustico ed idoneo ad arrivare alle vie respiratorie. Sintomi tipici sono:

  • irritazione di gola, occhi, e naso.
  • lacrimazione
  • secchezza della bocca
  • costrizione toracica
  • vomito
  • mal di testa.

Dannosa è infine, l’azione del calore per l’uomo, in quanto provoca disidratazione dei tessuti, problemi o blocchi della respirazione e scottature. La pelle dell’uomo si ritiene possa sopportare al massimo una temperatura dell’aria di 150° circa seppur per poco tempo ed a condizione che l’aria sia secca. Se l’aria è umida (e negli incendi sono presenti notevoli quantità di vapore acqueo) la temperatura sopportabile è decisamente più bassa.
Quanto invece alla massima temperatura respirabile si parla di 60° circa sempre per breve tempo.
L’esposizione al calore può, dunque, generare ustioni sui tessuti del corpo umano, ustioni che sono classificate in base alla profondità in:

  • ustioni di I grado (superficiali e facilmente guaribili)
  • ustioni di II grado (formazione di bolle e vescicole)
  • ustioni di III grado (profonde e gravi e richiedono urgente ospedalizzazione)

Conseguenze dell’irraggiamento secondo il metodo Eisemberg

ENERGIA (KW/mq) EFFETTI SULL’UOMO
40 1% di probabilità di sopravvivenza
26 Innesco incendi di materiale infiammabile
19 50% di probabilità di sopravvivenza
5 Danni per operatori con indumenti di protezione esposti per lungo tempo
2 Scottature di II grado
1.8 Scottature di I grado
1.4 Limite di sicurezza per persone vestite esposte per lungo tempo


Effetti dell’incendio sulle costruzioni

Le reazioni delle strutture dei fabbricati, che siano civili od industriali, alla forza di un incendio dipende soprattutto dal materiale con cui il fabbricato è costruito. Molto comune nelle costruzioni è oggi il cemento armato, che è un materiale composto, e reagisce pertanto simbioticamente ad un incendio: il calcestruzzo scherma l’acciaio, isolandolo dai gas caldi dell’incendio e ritardandone così la perdita di resistenza. Ciò accade perché il calcestruzzo non è un buon conduttore termico, l’acciaio dal canto suo ed al suo interno resistere bene alla trazione.
La resistenza del cemento armato preso in considerazione, all’aggressione dell’incendio, è in buona sostanza positiva, tuttavia, essendo molteplici le variabili collegate alle dinamiche dell’incendio è piuttosto complicato quantificare la risposta strutturale, e ciò soprattutto in relazione alla reazione del calcestruzzo esposto a shok termico.

Vediamo ora quali sono nel dettaglio gli aspetti più importanti da osservare nella quantificazione del danno alle strutture:

  • “azione” dell’incendio sulla struttura;
  • reazione del materiale di cui la struttura è composta;
  • reazione della struttura nel suo complesso;
  • il livello di resistenza richiesto alla struttura.

L’azione incendio

Ogni struttura è messa alla prova da un incendio, il quale surriscalda gli elementi di cui è composta, dilatando e degradando i materiali. È la temperatura che incide maggiormente sulle reazioni di un materiale, l’ incendio è pertanto delineato tramite il cambiamento nel tempo della temperatura dei gas caldi che scaturiscono dalla combustione e che in qualche modo interagiscono con la struttura, irraggiandola o trasmettendole calore per convezione.
Un incendio può svilupparsi ed evolversi in molti modi e ciò perché i fattori che ne determinano l’evoluzione sono i più disparati e vari. Osservando i tratti generali si individua la prima fase (c.d. di innesco); in questa fase le temperature non sono molto elevate ma sono crescenti. Segue un rapido ampliamento della combustione che la rende diffusa e non più reversibile. Successivamente a questa fase inizia la fase di sviluppo pieno dell’incendio FLASH-OVER, dalla quale scaturisce un rilevante aumento della temperatura fino a raggiungere la soglia massima, finché non comincia a terminare il materiale combustibile. Da ultimo lo spegnimento, fase in cui si assiste ad una progressiva riduzione della temperatura.
Prescindendo dall’origine dell’incendio, determinano il suo svilupparsi in primis le caratteristiche e le quantità dei materiali combustibili, il modo in cui l’ossigeno è apportato, la compartimentazione atta a delimitare le aree in cui si sviluppa il fenomeno ed infine la presenza di impianti di spegnimento automatico di per se atti ad ostacolarne lo sviluppo.

Durata di resistenza all’incendio

Con riferimento alla sicurezza, in un fabbricato nel quale si sia sviluppato un incendio, la priorità è data alla incolumità di tutti gli occupanti il fabbricato interessato dalle fiamme e gli occupanti le zone limitrofe oltre che , va da se, l’incolumità di coloro i quali prestano i soccorsi. I soccorritori, anche se sono sempre adeguatamente difesi, grazie ad i loro strumenti,sia dal fumo che dalle fiamme, devono tuttavia, avere sempre in conto quale è la resistenza delle strutture nelle quali si accingono ad intervenire e ciò per calcolare i tempi di intervento nei locali interessati dall’incendio.
È indispensabile che qualora ci si trovi in presenza di un incendio importante, la “durata” dell’edificio con riferimento alla sua resistenza all’incendio, sia sufficiente al punto da permettere l’intervento delle unità di soccorso nei locali interessati dall’incendio con un ottimo livello di sicurezza.
Sono stati presi in considerazione tre elementi: resistenza (R), tenuta (E)e isolamento (I) di un materiale di cui una struttura è composta, calcolati attraverso delle curve temperatura-tempo convenzionali che rappresentano le condizioni critiche di un incendio e le risposte allo stesso degli elementi esaminati. Tali curve temperature-tempo, illustrano l’azione sempre crescente e di durata illimitata, sono pensate per far giungere virtualmente una struttura al collasso, definendo in tal modo una “durata di resistenza” all’incendio intesa come lasso temporale che intercorre dal punto di flash-over al collasso della struttura.

In termini di “minuti” si misura, dunque, la resistenza di un elemento all’incendio; le strutture vengono quindi classificate in base alla durata di resistenza in classi R30, R60, R90, R120, R150, R180, R210, R240 (minuti) in relazione alle esigenze di protezione, del carico di incendio, dei provvedimenti di prevenzione e protezione esistenti.

Livello di danneggiamento della struttura

Generalmente l’incendio non distrugge interamente la struttura, questa ne risulta spesso soltanto danneggiata. Una delle valutazioni + importanti da fare è valutare danno subito dalle strutture per determinare il livello di sicurezza residuo e nel caso, prevedere i provvedimenti che si rendano necessari. Attualmente sul tema l’Ingegneria Strutturale prevede per una struttura,  oltre la durata di resistenza, anche la classificazione di un “livello di danneggiamento” cosicché possa essere garantito un opportuno “livello di protezione” PBD (Performance Based Design), tenuto conto della particolare destinazione d’uso della struttura medesima.

L’odierna ingegneria costruttiva prevede per le strutture soggette ad incendio cinque differenti livelli di protezione:

  • Livello I –  nessun requisito specifico di resistenza al fuoco dove le conseguenze del crollo delle strutture siano accettabili o dove il rischio di incendio sia trascurabile;
  • Livello II –  requisiti di resistenza al fuoco delle strutture per un periodo sufficiente a garantire l’evacuazione degli occupanti in luogo sicuro e l’intervento delle squadre di soccorso;
  • Livello III – requisiti di resistenza al fuoco delle strutture tali da evitare, per tutta la durata dell’incendio, il collasso delle strutture stesse;
  • Livello IV – requisiti di resistenza al fuoco delle strutture per garantire, dopo la fine dell’incendio, un limitato danneggiamento delle strutture stesse;
  • Livello V – requisiti di resistenza al fuoco delle strutture per garantire, dopo la fine dell’incendio, il mantenimento della totale funzionalità delle strutture stesse.

La capacità portante dovrà essere mantenuta per tutto il tempo necessario a garantire le prestazioni associate a ciascun livello. Già dal livello II si è in linea con quanto previsto dalle norme vigenti e con la relativa categoria di resistenza REI.
Man mano che si procede per livelli superiori, è previsto che la struttura non collassi e le conseguenze dei danni siano sempre meno gravi.

Per ottenere il Livello IV di sicurezza è richiesto che le costruzioni vengano sottoposte a specifico controllo:

  • verifica della capacità portante per tutta la durata dell’incendio;
  • verifica del regime deformativo entro limiti accettabili;
  • mantenimento di una capacità portante residua che consenta interventi di ripristino.

Per il Livello V è richiesto che le strutture debbano essere sottoposte alle seguenti verifiche:

  • controllo della capacità portante per tutta la durata dell’incendio;
  • regime deformativo trascurabile;
  • mantenimento di una capacità portante residua adeguata alla destinazione di progetto.

Tabella sintetica degli effetti dell’incendio sui materia da costruzione

Danni che si possono verificare Valori di irraggiamento (kW/mq)
Strutture in calcestruzzo 60
Strutture in acciaio 40
Ignizione del legno entro un minuto 33
Danneggiamento di serbatoi metallici 12.6
Danneggiamento di cavi elettrici 11.7